venerdì 25 marzo 2016

SEPOLCRI...

.Di Pascquale Troiano in Facebook
LU VINARDJ'A SANT E LA MADONNE CE MESS LU MANTE
Foto: Cristo sotto la Croce (Rep. da Frate Indovino)
Raccontiamo qualcosa di Monte:
Nel Venerdì Santo dalla chiesa di San Francesco (dal 1904 sede della nobile Congregazione della Morte) esce sull’imbrunire la commovente Processione del Cristo morto portato sulle spalle da quattro giovani robusti che si avvicendano con altri quattro. Segue il Cristo morto, la bella statua dell’Addolorata, la quale nei tempi passati era portata sulle spalle da quattro a dodici giovinette appartenenti a distinte famiglie signorili: ora sono giovinette del popolo che si contendono l’onore, mediante pagamento. Prima del 1880 le statue dell’Addolorata e del Cristo morto erano precedute da altre che rappresentavano episodi della vita di Gesù chiamati Misteri, come per esempio: Gesù nell’orto, Gesù legato alla colonna, Pilato, Giuda, etc…Ora invece le precede il così detto Calvario: una grande croce di legno, con tutti i simboli, piantata su di un monte. Ai piedi di essa vi è una fanciulla con i capelli scarmigliati ed i piedi nudi, che raffigura la Maddalena. La processione cammina lentamente, compostamente, spesse volte illuminata dai ceri che portano i confratelli delle diverse congreghe, i quali vanno a due a due, gravi e taciturni nei loro lunghi camici bianchissimi, che fanno contrasto con i loro cappelli multicolori a larghe tese sostituiti ai caratteristici “pappelusce”, cioè cappucci di tela bianca che nascondevano la testa, lasciando aperti solamente due buchi per gli occhi. La processione si snoda molto ordinata e mentre i confratelli, tutti compunti si flagellano con la disciplina, un fanciullo, che precede ciascuna congrega, supplisce il suono delle campane che tacciono in segno di lutto, con lo strepito irritante della bàttola, “la trozzele”, uno strumento di legno con quattro battenti di ferro. Le lunghe file dei fratelli sono seguite dal clero, dal Capitolo Palatino, dal corpo musicale, dalle autorità, dalle associazioni, da numerosa folla. Le caratteristiche di questa processione sono centinaia di fanciulle e giovinette vestite di nero che portano i simboli: la lanterna, i dadi, la fune, il martello, la tenaglia, la lancia, la spugna, i chiodi, la veste rossa, la corona di spine, la testa del Cristo, il cuore di velluto rosso con la corona della Madonna e molti altri.” E’ bene ricordare che per le strade, durante la quaresima e nelle ore serotine, si cantava il Venerdì santo, una dolce e commovente nenia riportata, in parte, di seguito:
Lu venardì a sante
e la Madonn ce mess’a lu mante
n’avett’a chi chi ì
e sola sola ce partì.
Accunfrunté a san Giuann:
madra madra dou vu sci.
Vade piangende pe tutt lu core
c’aggke perse lu mij figliule
‘ret’la porte de Pelète
addà lu truve ‘ncatenete
La crona d’ore l’hann luete
la crone de spine l’hann ‘nchiuète….
N.B. – Le notizie sono liberamente tratte dal volume Folclore Garganico – G. Tancredi – Ed. 1938, pagg.24, 25.
A domani per il prosieguo.

foto di Pasquale Troiano.


                                                    1Rischi
2.       Ridere è rischiare d’apparire sciocchi
3.       Piangere è rischiare d’apparire sentimentali.
4.       Tendere la mano è rischiare il coinvolgimento
5.       Esporre i sentimenti è rischiare d’esporre il vero se stesso.
6.       Esprimere le proprie idee, i sogni davanti ad una folla è rischiare di perderla.
7.       Amare è rischiare di non essere riamati.
8.       Vivere è rischiare di morire.
9.       Sperare è rischiare la disperazione.
10.     Tentare è rischiare di fallire.
11.     In altre parole i rischi vanno corsi poiché il pericolo maggiore nella vita e, non rischiare nulla.
12.      Chi non rischia nulla, e prima della creazione niente.
13.     Può evitare la sofferenza, la tristezza, ma non può imparare, sentire, crescere, cambiare, amare, vivere; è schiavo della sua mentalità. 
14.     Ha rinunciato alla libertà. 
15   . Solo chi rischia è libero

 Di Pascquale Troiano in Facebook
MONTE SANT’ANGELO – STORIA DI UNA RIVOLTA
Quasi primavera, sole splendente, aria mite. Mezzogiorno è già passato ed il sole è ancora alto. Sono circa le ore 14.15 – 14.20. Io ed un mio carissimo amico, stavamo percorrendo il Corso – Via Reale Basilica – diretti verso il Belvedere. Giunti dinanzi alla Basilica di San Michele, il titolare del tabacchino vicino ( mi pare si chiamasse Matteo ) ci fa cenno di andare da lui. Ci avviciniamo e questo signore ci dice: “ Gevenò, geveno’, ( avevamo entrambi appena 15 anni ), cuss (riferito ad uno dei fratelli “zumparidd”, esattamente a Mimì) sté decenne ca jus’a sammechèle ce stanne purtenne li port. Vulìte scì a vedé che sté succedenn ? “. Senza farcelo ripetere, immediatamente ci avviammo verso la Basilica ed appena arrivati giù, effettivamente, notammo che vi erano delle impalcature sopra le quali alcuni operai, con martello e scalpello, stavano divellendo le tenute delle porte in procinto di asportarle. Notammo pure che a terra c’erano delle grandi casse di legno imbottite, atte a contenere le stesse porte. Notato tutto questo, tornammo sopra e riferimmo al Tabaccaio quello che avevamo visto. Al che, il tabaccaio ci dice “ e n’amma fé nint ? cj’amma fé purté li porte? “. Breve pausa e silenzio. E noi: che ce pote fé ? Il tabaccaio: “amma dé l’allarme, amma suné li campene. ‘ Vuji ‘u sapìte dove javete tutubett ? ( Tutubett era il soprannome del custode del Campanile). Rispondiamo negativamente, e lui immediatamente ci indicò per filo e per segno dove abitava (Via Marcello Cavalieri ). Gli chiedemmo per curiosità se lui fosse a conoscenza della destinazione delle porte e ci disse che aveva sentito dire che dovevano essere portate in Grecia. D’un balzo fummo alla casa di Tutubett e bussammo (amm tuzzulete). Venne ad aprire una signora che spostando la rete d’entrata ( la rezz ) ci chiese cosa volessimo. Le spiegammo il fatto e subito esclamò in dialetto: ‘nziamè, figgghji mji, ‘ntemen cj’anna purté li port de sammechel….” E, in un batter d’occhio, ci consegno’ la chiave del campanile. In meno di dieci minuti, eravamo in cima ed io ed il mio amico cominciammo a suonare ( mi pare che ci fossi io al campanone…non ne sono del tutto sicuro, però) e così gli inaspettati ed inusuali rintocchi raggiungevano l’intero paese. Erano ormai le 15.30 circa. Mi sporsi un poco in fuori e m’ affacciai: una moltitudine di gente, come formiche, pullulava intorno alla Basilica. Ci raggiunsero altri amici che si misero a suonare le altre campane fino ad allora rimaste mute, alternandoci, di tanto in tanto, con il campanone. Noi continuammo a suonare fino a sera oltre le ore 19.00 e sotto, ormai, la folla inferocita sbraitava ed inveiva con spranghe e bastoni mentre le Forze di polizia locali e non, erano giunte sul posto. Il pretesto ufficiale che fu dato alla popolazione, fino ad allora ignara, fu questo: le porte di bronzo dovevano essere inviate ad Atene per la partecipazione ad una mostra di Arte bizantina. Quando verso le ore 20.30 – 21.00 scendemmo dal campanile, ci rendemmo conto che si erano formate spontaneamente diverse squadre di studenti che avevano l’intento di “sorvegliare” la Basilica, vietandone l’accesso a chiunque. Notammo che sotto l’olmo era stato eretto letteralmente un muro di pietre ( macère ) per ostacolare il transito di qualsiasi mezzo e che, in precedenza, il camion venuto da fuori per portare via le casse era stato fatto allontanare. Si racconta che l’autista con il camion ( uno solo ) si spostò fin dopo il bivio che, andando dritto, porta verso la valle di Carbonara e a svoltando a sinistra invece si dirige verso lo scotto ( ‘u scutt ) e che, alcuni studenti, notato questo fatto, intimarono al guidatore di sparire proprio dalla vista, pena l’incendio dell’automezzo medesimo. Ricordo che, a sera tarda, alcuni amici sprangarono con una trave la porta laterale della chiesa della Madonna della Libera ( i scaledd Sant’a Lucji ) attraverso la quale si poteva accedere all’interno della Basilica. Anche le Autorità ecclesiastiche cominciarono a farsi vedere e l’allora Arcivescovo ( Mons. A. Cesarano ? ) salì a Monte e corse il rischio di essere malmenato. Nella notte, noi studenti prelevammo le casse di legno e le portammo in alcuni punti ben precisi del paese. Ricordo che noi portammo la cassa in Piazza Beneficenza ( nei pressi della Villa Comunale ), un’altra fu portata in Piazza Duca d’Aosta ed altre due non so dove furono portate. Verso mezzanotte, iniziammo a turno a bruciare le casse. Prima che appiccassimo fuoco alla nostra, alcune donne gridarono nei nostri confronti: “ Datece li spugne, datece li spugne “. Staccammo le spugne di imbottitura e le consegnammo alle astanti; quindi, demmo fuoco alla cassa che, bruciando, ci fece pure riscaldare.
L’indomani mattina, i maggiori quotidiani locali e nazionali titolavano in prima pagina: “Scoppiata una rivolta a Monte Sant’Angelo”. In proposito, sono riuscito a reperire un ritaglio de l’Unità che, per sommi capi, racconta l’accaduto e porta la data del 4.03.1964 ( vedi foto ). Il tutto, come si deduce, iniziò nel primo pomeriggio del 3 Marzo 1964.
Le porte non furono più divelte e rimasero al loro posto, grazie anche all’intervento dell’allora Prefetto, dott. Prestipino, e del Sindaco, dott. Antonio Ciuffreda. Quando tornai a scuola ( Istituto Magistrale ), l’allora Preside, tale Antonio Mondelli di Lucera, mi chiese dove fossi stato in quei giorni di assenza. Io gli dissi: “ A fare la rivoluzione “ e lui, di rimando: “ e vai a continuare la rivoluzione. Sospeso per tre giorni e fatti accompagnare dai genitori!”. Al rientro, dopo la sospensione, mi feci accompagnare, per la giustifica, da mia zia, Rusine Cacciajaddine, buon’anima, sorella di mia madre.
Nel 1966, ci fu un episodio analogo ma, questa volta, riferito alle campane. La rimozione delle stesse si rendeva necessaria - veniva detto - per una presunta manutenzione e connessa elettrificazione. La conseguenza diretta di questa ultima rivolta fu il definitivo allontanamento dei Preti dalla Basilica, che rimase chiusa per diversi anni, fino a quando la gestione della stessa Basilica fu affidata ai frati benedettini dell’Abbazia di Montevergine ( Avellino ). Tutto il resto è cronaca e/o leggenda, trita e ritrita.

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